Il Ddl 1660 diventa decreto:
cosa cambia davvero?
di Daniele Cofani
L’11 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il Decreto legge 11 aprile 2025 n. 48 «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, vittime dell'usura e ordinamento penitenziario», imponendo la via del Decreto legge dopo che il Disegno di legge 1660, approvato dalla Camera, si era impantanato al Senato (senza scadenze precise) a causa più di dissidi propagandistici all’interno del governo - soprattutto tra la Lega e FdI - che per una reale opposizione parlamentare.
Da disegno di legge a decreto
Va subito detto che il testo del decreto riprende ampie parti del Ddl 1660, confermando tutte le norme concepite per reprimere le lotte operaie, sociali, ecologiste, le proteste nei Cpr e nelle carceri, nonché continuare a opprimere gli immigrati. Il governo, in chiaro accordo con il Quirinale, che non ha contrastato l’irritualità della procedura, ha recepito i rilievi della Presidenza della Repubblica e riscritto parte del testo: in particolare sono sei le norme ritenute passibili di «incostituzionalità» su cui il Colle aveva espresso le proprie obiezioni ma che, nei fatti, non depotenziano di una virgola il portato del «Pacchetto sicurezza».
Ora che il Consiglio dei ministri ha approvato e depositato in Gazzetta il decreto (rendendolo operativo) il provvedimento tornerà di nuovo alle Camere e sarà approvato entro sessanta giorni per convertirlo in legge, con poche possibilità di essere modificato, se non per aspetti molto marginali.
Come Alternativa comunista già avevamo denunciato i contenuti nefasti del Ddl 1660, sulle pagine del nostro sito (1), nel settembre dello scorso anno, quando la sua approvazione era passata al vaglio della Camera dei deputati. Al contempo, avevamo denunciando le responsabilità di tutti i precedenti governi di ogni colore, che hanno preparato le basi di queste nuove norme repressive, mediante l’approvazione di passati decreti legge in tema di «sicurezza pubblica», leggi sostenute da partiti ora collocati nel calderone del «centrosinistra» come il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle. Di seguito analizzeremo le modifiche marginali avvenute con il passaggio da disegno di legge a decreto legge.
Le sei norme della «discordia»
In realtà non c’è nessuna discordia tra il Presiedente della Repubblica e il governo ma c’è una totale armonia quando si tratta di reprimere le lotte e vessare gli immigrati. Questo non riguarda solo l’attuale governo Meloni e il presidente Mattarella, ma anche tutti i loro predecessori che, all’interno del sistema capitalista, sono al totale servizio dei padroni e dei banchieri al fine di tutelare i loro interessi economici.
Per tornare al decreto legge, analizziamo le modifiche degli articoli in discussione:
- Riguardo le detenute madri, permane la facoltatività del giudice di decidere in merito al differimento della pena nei confronti delle condannate incinte o madri di prole di età inferiore a un anno. Tuttavia si specifica che si dovrà eseguire obbligatoriamente la pena qualora si crei situazione di pericolo o la possibilità di reiterazione del reato. Con la modifica è stata data la possibilità al giudice di valutare le preminenti esigenze del minore pur in presenza di una condotta grave della madre. Come da principio, persiste un chiaro intento discriminatorio nei confronti dell’etnia rom.
- Riguardo le proteste contro le «infrastrutture pubbliche», ci troviamo di fronte a una mera puntualizzazione degli «obiettivi sensibili», apparentemente non specificati, su cui applicare l’aggravante di pena: la nuova norma specifica che l’aggravante (che permane) è «limitata» alle infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici.
- Riguardo i reati di violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale, viene cancellato il divieto per il giudice, previsto invece dal Ddl, di considerare le circostanze attenuanti in quanto non conforme ai principi dell’equità del diritto penale, anche se poi sappiamo benissimo come il sistema sa ben occultare i crimini delle sue forze di repressione.
- Riguardo le rivolte e le condotte di resistenza (anche passiva) all’interno delle carceri o nei Cpr, si restringe leggermente l’ambito di applicazione di questo nuovo reato, che andrà ad applicarsi ai soli atti «di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza». Nei fatti una restrizione più di facciata che di sostanza, in quanto permane la genericità che conduce le «condotte di resistenza passiva» a diventare comunque sanzionabili nel momento in cui dovessero impedire «il compimento degli atti necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza», come ad esempio rifiutarsi di uscire dalle proprie celle quando all’esterno è in atto un’azione repressiva. Rimangono a dir poco drastiche le pene fino a sei anni per i partecipanti, fino a dieci per i capi, fino a venti se dalla rivolta derivano lesioni o morte.
- Per quanto riguarda le schede telefoniche Sim per le persone migranti che sbarcano sulle nostre coste, non occorrerà il possesso del permesso di soggiorno (come inizialmente previsto nel Ddl) ma servirà comunque un documento d’identità per acquistare una scheda telefonica e per poter finalmente comunicare con i propri famigliari e conoscenti. Sono ben note tutte le difficoltà del caso nel reperire o aver conservato documenti per chi arriva sulle nostre coste dopo viaggi della speranza, nei quali hanno subito violenze, furti e soprusi di ogni genere.
- Riguardo i servizi segreti, le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi di pubblica utilità, le università e gli enti di ricerca non sono più tenuti (permane la base facoltativa) a collaborare con i Servizi di sicurezza e a stipulare convenzioni che obbligano a cedere informazioni e dati anche in deroga alle normative in materia di riservatezza. Resta però la parte forse più inquietante della norma, ossia l’impunità per la strategia della tensione, da oggi non più perseguibile legalmente, fatto giustamente denunciato con forza dalle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi.
Uniamo le lotte contro nuovi reati e inasprimento delle pene
Come anticipato, le modifiche ai sei articoli contestati dal Quirinale non hanno portato a nessun cambiamento sostanziale ma, cosa peggiore, sono rimaste in essere tutte le nuove aggravanti di pena e nuovi reati introdotti prima dal Ddl 1660 e confermate nel nuovo decreto legge, inasprendo ogni forma di repressione nel solco delle precedenti leggi liberticide varate da vari governi composti anche dal Pd e dal M5s. Per ricordarne alcuni, c’è il nuovo reato di blocco stradale: chi impedirà la libera circolazione su strada ordinaria o su ferrovia, ostruendo la stessa con il proprio corpo, sarà punibile con detenzione da sei mesi a due anni. In realtà, l’inasprimento era stato già introdotto nel 2018 dal primo governo Conte che aveva inserito il reato di blocco della circolazione attuato con qualsiasi mezzo, ma non con il corpo, come, invece, prevede il decreto legge.
Viene confermata la modifica normativa più pesante di tutte che prevede fino a 20 anni di reclusione per chi protesta per impedire la realizzazione di «infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici», ossia le proteste contro il Tav, il ponte sullo Stretto di Messina, ecc., che ricadono in questo ambito. Il 1660 aggrava anche la pena per chi «deturpa» o «imbratta» beni mobili e immobili «adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche» con reclusione da 6 mesi a 3 anni se si è recidivi.
Con la nuova pena per resistenza, violenza o «minaccia» a pubblico ufficiale nel corso di una qualsiasi manifestazione, si va da un minimo di 3 a un massimo di 15 anni di reclusione, se la resistenza è posta in essere da più di 10 persone.
La commissione di un reato nelle vicinanze di una struttura ferroviaria diventa invece un’aggravante a cui si aggiunge l’estensione del «Daspo» alle vicinanze delle ferrovie e dei porti.
Come già ricordato, tra i nuovi reati emerge anche quello di «rivolta penitenziaria o carceraria» in questo caso chi «promuove, organizza o dirige» una rivolta è punito con la reclusione da 2 a 8 anni, per chi partecipa la pena è da 1 a 5 anni, con le aggravanti si impenna fino a 20 anni, reato che viene introdotto anche nei Cpr (Centri di Permanenza per i Rimpatri) che sono stati spesso al centro di proteste per le condizioni di vita degradanti al loro interno: negli ultimi mesi alcune di queste strutture sono state poste sotto indagine dalla magistratura per abusi, cattiva gestione e condizioni inumane di vita.
Infine l’occupazione «abusiva» di case vuote da parte di famiglie o singole persone senza fissa dimora è punita con pene dai 2 ai 7 anni - che si estende anche ai solidali, singoli o collettivi di sostegno - con il reintegro del proprietario dell’immobile occupato da parte delle forze di polizia senza nessun accertamento della magistratura sulle circostanze specifiche che avevano portato alla occupazione. Tutto questo inasprendo il Codice Penale che già puniva l’occupazione di immobili.
Un attacco alle mobilitazioni in corso
Come dicevamo con il passaggio dal Ddl al nuovo decreto, vengono introdotte fin da subito alcune aggravanti di pena e nuovi reati dando dei tempi certi per la conversione in legge, con lo scopo di colpire le mobilitazioni che hanno caratterizzato l’ultima fase delle lotte sociali: quelle contro il genocidio in Palestina e il riarmo imperialista, le proteste contro le «grandi opere» e le nuove infrastrutture militari, le mobilitazioni per il clima e contro la catastrofe ecologica e ambientale, nonché i picchetti di sciopero operai e le giuste rivolte nelle carceri e nei Cpr. Tutto ciò mentre si garantiscono alle forze dell’ordine nuovi poteri e ulteriore impunità per le loro (frequenti) condotte violente, concedendo la libertà di possedere le proprie armi personali fuori dal servizio e punendo duramente le lesioni, anche minime, «subite» durante il servizio.
Chiaramente non ci aspettavamo nulla di differente da parte di un governo di estrema destra, come non ci aspettavamo nessuna forma di opposizione degna di questo nome da parte del Movimento 5 stelle, del Partito democratico e della sinistra riformista e parlamentare che sono responsabili dell’ascesa di questo governo di estrema destra a causa delle loro nefaste politiche di governo, con le quali hanno approvato leggi che non erano altro che il preludio di questi nuovi decreti legge: Turco-Napolitano, Minniti, Salvini 1, Salvini bis e Lamorgese.
Di fronte a tutto ciò non ci resta che unire le lotte sindacali, studentesche, sociali e di movimento per cambiare i rapporti di forza a nostro favore contro i padroni, contro i governi e contro il capitalismo. Non possiamo che continuare a sostenere le mobilitazioni a sostegno della eroica Resistenza palestinese e contro il riarmo e le guerre imperialiste, che si devono unire alle lotte contro la violenza sulle donne, contro la devastazione ambientale, contro le politiche economiche di guerra del governo. Sono mobilitazioni che negli scorsi mesi, culminate il 25 aprile (anniversario della Resistenza), hanno visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone con alla testa molte giovani donne immigrate, ma anche studenti e lavoratori.
È questa la strada da seguire per costruire una reale opposizione al governo Meloni: unendo tra di loro le mobilitazioni per liberare la Palestina, per il ritiro del nuovo Decreto sicurezza, contro le oppressioni, contro il carovita ecc. potremo mettere in crisi questo governo reazionario, aprendo la strada a una stagione di lotte che possa mettere in discussione il sistema capitalista nel suo insieme. In questo contesto sosteniamo la prossima manifestazione nazionale contro il nuovo Decreto sicurezza indetta a Roma il 31 maggio.
Note
1.https://www.alternativacomunista.it/articoli/sindacato/ddl-1660-il-governo-meloni-inasprisce-la-repressione-nel-solco-delle-precedenti-leggi-liberticide